Anche questa volta volevo parlare di poesia!
Volevo parlarvi di Edgar Allan Poe. Egli viene sempre associato ad un Corvo!
Poe nacque a Boston nel 19-01-1809 e morì a Baltimora il 7/10/1/1849 fu un poeta, uno scrittore, un critico letterario, giornalista, saggista ed editore statunitense.
Lui fu il predecessore ( insieme a Lovecraft) del genere poliziesco, il racconto dell' orrore e del giallo psicologico. Una volta aver scritto questi generi, riportando uno stile strettamente personale,dopo aver creato nuovi parametri della letteratura, finisce per dar luogo al romanzo gotico.
Dopodiché, ancora oggi, viene considerato uno dei più grandi capostipiti della letteratura gotica.
Volevo farvi leggere una delle sue più importanti poesie, quella che ha ispirato un fumetto chiamato appunto "Il Corvo" e di conseguenza il celebre film con Brandon Lee, amato da ogni darkettone!
Una volta, a mezzanotte, mentre stanco e affaticato
meditavo sovra un raro, strano codice obliato,
e la testa grave e assorta — non reggevami piú su,
fui destato all’improvviso da un romore alla mia porta.
5«Un viatore, un pellegrino, bussa — dissi — alla mia porta,
solo questo e nulla più!»
Oh, ricordo, era il dicembre e il riflesso sonnolento
dei tizzoni in agonia ricamava il pavimento.
Triste avevo invan l’aurora — chiesto e invano una virtù
10a’ miei libri, per scordare la perduta mia Lenora,
la raggiante, santa vergine che in ciel chiamano Lenora
e qui nome or non ha più!
E il severo, vago, morbido, ondeggiare dei velluti
mi riempiva, penetrava di terrori sconosciuti!
15tanto infine che, a far corta — quell’angoscia, m’alzai su
mormorando: «È un pellegrino che ha battuto alla mia porta,
un viatore o un pellegrino che ha battuto alla mia porta,
questo, e nulla, nulla più!».
Calmo allor, cacciate alfine quelle immagini confuse,
20mossi un passo, e: «Signor — dissi — o signora, mille scuse!
ma vi giuro, tanto assorta — m’era l’anima e quassù
tanto piano, tanto lieve voi bussaste alla mia porta,
ch’io non sono ancor ben certo d’esser desto». Aprii la porta:
un gran buio, e nulla più!
25Impietrito in quella tenebra, dubitoso, tutta un’ora
stetti, fosco, immerso in sogni che mortal non sognò ancora!
ma la notte non dié un segno — il silenzio pur non fu
rotto, e solo, solo un nome s’udì gemere: «Lenora!»
Io lo dissi, ed a sua volta rimandò l’eco: «Lenora!»
30Solo questo e nulla più!
E rientrai! ma come pallido, triste in cor fino alla morte
esitavo, un nuovo strepito mi riscosse, e or fu sì forte
che davver, pensai, davvero — qualche arcano avvien quaggiù,
qualche arcan che mi conviene penetrar, qualche mistero!
35Lasciam l’anima calmarsi, poi scrutiam questo mistero!
Sarà il vento e nulla più!
Qui dischiusi i vetri e torvo, — con gran strepito di penne,
grave, altero, irruppe un corvo — dell’età la più solenne:
ei non fece inchin di sorta — non fe’ cenno alcun, ma giù,
40come un lord od una lady si diresse alla mia porta,
ad un busto di Minerva, proprio sopra alla mia porta,
scese, stette e nulla più.
Quell’augel d’ebano, allora, così tronfio e pettoruto
tentò fino ad un sorriso il mio spirito abbattuto:
45e, «Sebben spiumato e torvo, — dissi, — un vile non sei tu
certo, o vecchio spettral corvo della tenebra di Pluto?
Quale nome a te gli araldi dànno a corte di Re Pluto?»
Disse il corvo allor: «Mai più!».
Mi stupii che quell’infausto disgraziato augello avesse
50la parola, e benché quelle fosser sillabe sconnesse,
trasalii, ché, in niuna sorta — di paese fin qui fu
dato ad uom di contemplare un augel sovra una porta,
un augello od una bestia aggrappata ad una porta
con un nome tal: «Mai più!».
55Ma severo e grave il corvo più non disse e stette come
s’egli avesse messo tutta quanta l’anima in quel nome:
sovra il busto, appollaiato — non parlò, non mosse più
finché triste ebbi ripreso: «Altri amici m’han lasciato!
il mattin non sarà giunto ch’egli pur m’avrà lasciato!».
60Disse allor: «Mai più! mai più!».
Scosso al motto ch’or sì bene s’era apposto al mio pensiere,
«Certo, — dissi, — queste sillabe sono tutto il suo sapere!
e chi a tale ritornello — l’addestrò, forse quaggiù
sarà stato sì infelice ch’ogni canto suo più bello
65come un requiem, non aveva ogni canto suo più bello
a finir che in un mai più!»
Ma un pensier folle ancor voltomi a un sorriso il labbro torvo:
scivolai su un seggiolone fino in faccia al busto e al corvo,
e qui, steso nel velluto — presi intento a studiar su
70cosa mai volesse dire quel ferale augel di Pluto,
quel feral, sinistro, magro, triste, infausto augel di Pluto
col suo lugubre: «Mai più!».
Così assorto in fantasie stetti a lungo, e sempre intento
all’augello i di cui sguardi mi riempivan di spavento,
75non osai più aprire labro — sprofondato sempre giù
fra i cuscini accarezzati dal chiaror di un candelabro
fra i cuscini rossi ov’ella, al chiaror di un candelabro,
non verrà a posar mai più!
Allor parvemi che a un tratto si svolgesse in aria, denso
80e arcan, come dal turibolo d’un angelo, un incenso.
«O infelice, dissi, è l’ora! — e infin ecco la virtù
e il nepente che imploravi per scordar la tua Lenora!
Bevi, bevi il filtro e scorda! scorda alfin questa Lenora!»
Mormorò l’augel: «Mai più!».
85«O profeta — urlai — profeta, spettro o augel, profeta ognora!
o l’Averno t’abbia inviato — o una raffica di bora
t’abbia, naufrago, sbalzato — a cercar asil quaggiù,
in quest’antro di sventure, di’ al meschino che t’implora,
se qui c’è un incenso, un balsamo divino! egli t’implora!»
90Mormorò l’augel: «Mai più!».
«O profeta — urlai — profeta, spettro o augel, profeta ognora!
per il ciel sovra noi teso, per l’Iddio che noi s’adora
di’ a quest’anima se ancora — nel lontano Eden, lassù,
potrà unirsi a un’ombra cara che chiamavasi Lenora!
95a una vergine che gli angeli ora chiamano Lenora!»
Mormorò l’augel: «Mai più!».
«Questo detto sia l’estremo, spettro o augello — urlai sperduto.
Ti precipita nel nembo! torna ai baratri di Pluto!
non lasciar piuma di sorta — qui a svelar chi fosti tu!
100lascia puro il mio dolore, lascia il busto e la mia porta!
strappa il becco dal mio cuore! t’alza alfin da quella porta!»
Disse il corvo: «Mai, mai più!»
E la bestia ognor proterva — tetra ognora, è sempre assorta
sulla pallida Minerva — proprio sopra alla mia porta!
105Il suo sguardo sembra il guardo — d’un dimon che sogni, e giù
sui tappeti il suo riflesso tesse un circolo maliardo,
e il mio spirto, stretto all’ombra di quel circolo maliardo
non potrà surger mai più!
Nota
Quando il Corvo uscì la prima volta, nel 1845, in un numero di febbraio della American Review, era firmato «Quarles». Il poema richiamò immediatamente l’attenzione del pubblico, ma per qualche tempo l’autore rimase sconosciuto.Poë allora era ricevuto nella più scelta società letteraria di Nuova York, fra gli artisti e gli uomini di lettere che settimanalmente miss Anna C. Linch, celebre autrice, raccoglieva intorno a sé nel suo suntuoso appartamento di Waverley Place, e la parola calda, immaginosa, le eleganti maniere, l’aspetto distinto del nostro autore, affascinavano ognuno e gli cattivavano la simpatia e la benevolenza generale.
In una di queste riunioni, Poë, richiesto dai suoi ospiti, recitò il Corvo, ed in tal modo egli disse quelle strofe della febbre, dell’allucinazione, della disperazione che l’uditorio, elettrizzato, sentì che egli doveva esserne l’autore.
La paternità del poema fu svelata e la fama del poeta surse piú alta che mai.
Un critico americano, il prof. Henry Shepherd di Baltimora, dopo aver assegnato a Poë un posto fra i classici, ed aver collocato il suo nome fra quelli di Milton, di Ben Jonson, di Herrick, di Shelley, di Keats, analizzando il Corvo, così si esprime:
«Nessuna composizione poetica nella nostra lingua raccoglie, come questa, una più ricca, una più armoniosa combinazione di metri e di rime. Ogni singola vocale, ogni singola consonante, ricercata con cura, collocata secondo il suo valore, dà al verso una sonorità magnifica, solenne, prolungantesi al di là delle parole, e la penetrazione, la fluidità delle liquide, non è solo caratteristica nella trovata del ritornello: «Nevermore» (mai più), ma in tutto il poema; la loro scorrevole dolcezza, sottolineata da molli cadenze, rivela quale conoscenza avesse il poeta delle intime armonie che sono la base dell’umano linguaggio e quale abilità egli avesse nel trattarle ed adattarle al pensiero».
La continuità del ritmo, per cui l’idea, che si svolge severa di verso in verso, non incontra intoppi; l’imponenza della rima triplicata; la purezza, l’evidenza dello stile; l’allitterazione propria agli scaldi scandinavi e ai bardi sassoni, rinnovata; l’interesse sempre sostenuto in progressione drammatica dal principio alla fine; la stessa grafica delineazione, fanno del Corvo una composizione perfetta e degna di essere posta in alto fra le più nobili creazioni dell’intelletto umano di tutti i tempi, di tutte le lingue.
E. R.
Fonte Wikisource
Qui il resto delle Opere!
Romanzi
- Storia di Arthur Gordon Pym (The narrative of Arthur Gordon Pym of Nantucket) (1838)
- Il diario di Julius Rodman (The journal of Julius Rodman) (1840, incompiuto)
Racconti
Raccolte
- Racconti del grottesco e dell'arabesco (Tales of the Grotesque and the Arabesque) (1840)
- Racconti in prosa (Prose Tales) (1843)
- Racconti (Tales) (1845)
Racconti di raziocinio
- Con protagonista Auguste Dupin:
- I delitti della Rue Morgue (The murders in the rue Morgue) (1841)
- Il mistero di Marie Roget (The mystery of Marie Rogêt) (1842)
- La lettera rubata (The purloined letter) (1845)
- Lo scarabeo d'oro (The gold-bug) (1843)
Racconti di tema vario
- Una storia di Gerusalemme (A tale of Jerusalem) (1832)
- L'incomparabile avventura di un certo Hans Pfaall (The unparalleled adventure of one Hans Pfaall) (1835)
- Quattro bestie in una (Four beasts in one) (1836)
- Conversazione di Eiros e Charmion (The conversation of Eiros and Charmion) (1839)
- L'uomo della folla (The man of the crowd) (1840)
- L'isola della fata (The Island of the Fay) (1841)
- Le terre di Arnheim (The domain of Arnheim) (1842)
- Mattino sul Wissahiccon - L'alce (Morning on the Wissahiccon - The elk) (1844)
- La frottola del pallone (The balloon hoax) (1844)
- Colloquio di Monos e Una (The colloquy of Monos and Una) (1841)
- Il millesimo-secondo racconto di Sheherazade (The thousand-and-second tale of Sheherazade) (1845)
- La sfinge (The Sphinx) (1846)
- Il villino di Landor (Landor's cottage) (1849)
- Von Kempelen e la sua scoperta (Von Kempelen and his discovery) (1849)
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